Il TFR lasciato in azienda è davvero “gratuito”? I costi nascosti
un lavoratore e una lavoratrice parlano dei costi nascosti del TFR lasciato in azienda

Il TFR lasciato in azienda è davvero “gratuito”? I costi nascosti

La scelta sulla destinazione del Trattamento di Fine Rapporto (TFR) richiede di valutare attentamente l’impatto che tale decisione comporta nel lungo termine.

In questo articolo vedremo innanzitutto cosa è il Trattamento di Fine Rapporto e rifletteremo sulle due opzioni tra le quali il lavoratore è chiamato a scegliere: lasciarlo in azienda oppure destinarlo alla previdenza complementare.

Approfondiremo quindi i costi nascosti della scelta di lasciarlo in azienda, a partire dalla perdita dell’opportunità di accedere alla contribuzione aggiuntiva a carico del datore di lavoro.

Faremo poi un confronto tra la rivalutazione del TFR lasciato in azienda e le potenzialità di maturare rendimenti più elevati nel caso di conferimento dello stesso alla previdenza complementare.

Infine, analizzeremo la tassazione del TFR nelle due ipotesi, evidenziando la convenienza di destinarlo al fondo pensione negoziale.

TFR in azienda: un’opzione priva di costi?

Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) rappresenta una parte della retribuzione che viene accantonata nel corso degli anni di lavoro e che viene corrisposta al lavoratore alla cessazione del rapporto (per licenziamento, dimissioni o pensionamento). 

Questa somma può essere gestita in due modi: può essere lasciata in azienda oppure destinata alla previdenza complementare e, nello specifico, al fondo pensione negoziale previsto dal proprio CCNL. Tale scelta avviene solitamente al momento dell’assunzione, ma può essere modificata in qualunque momento successivo.

Molti lavoratori considerano mantenere il TFR in azienda l’opzione più semplice, sicura e “gratuita”, poiché non richiede un esborso immediato né azioni complesse. Tuttavia, questa convinzione è fuorviante. Dietro la scelta di mantenere il TFR in azienda, infatti, si nascondono dei costi indiretti che, nel lungo periodo, possono influire negativamente sull’ammontare finale che sarà disponibile al momento della liquidazione.

Questi costi nascosti possono essere raggruppati in tre categorie principali:

  1. la rinuncia al contributo datoriale;
  2. rendimenti mediamente inferiori rispetto a quelli ottenibili con l’investimento nel fondo pensione;
  3. una tassazione maggiore al momento della liquidazione.

Comprendere questi aspetti è fondamentale per valutare in modo consapevole e informato “cosa fare” del TFR, al fine di valorizzare al massimo i vantaggi del suo conferimento alla previdenza complementare.

Costo nascosto n. 1: la mancata contribuzione del datore di lavoro

Quando il TFR viene destinato a un fondo pensione negoziale, il lavoratore ha la possibilità di versare, in aggiunta, anche un contributo a proprio carico, in una percentuale della retribuzione stabilita dal proprio CCNL.

In questo caso, l’azienda è tenuta a corrispondere a sua volta un ulteriore contributo a proprio carico, che si somma a quello del lavoratore e al TFR, accrescendo così l’importo investito. Questo contributo, inoltre, è deducibile dal reddito imponibile del lavoratore, offrendo così anche un vantaggio fiscale immediato.

Lasciare il TFR in azienda e rinunciare al versamento del datore di lavoro significa, dunque, perdere una quota di risorse aggiuntive che potrebbero rafforzare significativamente il capitale accumulato e investito per scopi previdenziali

Costo nascosto n. 2: rendimenti potenzialmente più bassi

Il TFR accantonato in azienda cresce nel tempo secondo una formula di rivalutazione definita per legge: 1,5% fisso annuo più il 75% dell’inflazione (rilevata nell’anno precedente). Si tratta di un meccanismo conservativo che mira a proteggere il valore reale del capitale dall’effetto dell’aumento dei prezzi, ma che per sua natura offre rendimenti sostanzialmente limitati.

Al contrario, un fondo pensione negoziale investe il TFR e tutti gli altri contributi sui mercati finanziari, così da generare nel tempo un rendimento. Nel caso dei fondi multicomparto, inoltre, il lavoratore può scegliere la linea di investimento più adatta alle proprie esigenze, optando per quelle più prudenti o per quelle più dinamiche, che hanno l’obiettivo di ottenere, nel lungo periodo, rendimenti potenzialmente più elevati della rivalutazione del TFR lasciato in azienda.

Un meccanismo essenziale da questo punto di vista è quello dell’interesse composto, in base al quale i rendimenti maturati si sommano al capitale investito e generano, a loro volta, ulteriori rendimenti. Grazie a questo principio, in un orizzonte temporale ampio, l’investimento del TFR in un fondo può tradursi in un capitale finale superiore.

Inoltre, alcuni fondi pensione come Telemaco offrono un ulteriore vantaggio. L’aderente può infatti scegliere il Profilo Life Cycle, che adatta automaticamente il livello di rischio in base all’età e all’orizzonte temporale disponibile. Questo permette di ottimizzare i rendimenti in modo strategico, passando dalle linee più azionarie in giovane età a quelle più conservative con l’avvicinarsi della pensione, in modo del tutto automatico.

In sintesi, rinunciare a questa opportunità equivale a perdere il potenziale di crescita del capitale. Il TFR lasciato in azienda subisce una rivalutazione conservativa che sconta un pesante costo-opportunità rispetto alle performance potenzialmente più elevate offerte dai fondi pensione.

Costo nascosto n. 3: una tassazione finale elevata

Il trattamento fiscale del TFR dipende in modo determinante dalla sua destinazione finale. Questa differenza di tassazione rappresenta un costo-effettivo elevato e spesso sottovalutato, che incide direttamente sulla quantità di denaro netto a disposizione del lavoratore.

TFR lasciato in azienda (tassazione ordinaria)

Quando il TFR rimane accantonato in azienda, la somma liquidata al momento della cessazione del rapporto di lavoro è soggetta alla tassazione separata IRPEF, che parte da un’aliquota minima del 23% e può crescere fino a superare il 40%, in base al reddito complessivo e agli scaglioni IRPEF applicati.

TFR destinato al fondo pensione (tassazione agevolata)

Diversamente, le somme accumulate nei fondi pensione godono di una tassazione agevolata sul montante finale. Infatti, l’aliquota massima di partenza è pari al 15%, ma si riduce ulteriormente dello 0,30% per ciascun anno di permanenza nella previdenza complementare oltre il quindicesimo, arrivando a un minimo del 9%.

Com’è facile intuire, la differenza tra una tassazione che parte dal 23% (e può superare il 40%) e una compresa tra il 9% e il 15% è significativa. Non destinare il TFR a un fondo pensione negoziale significa rinunciare a un regime fiscale agevolato e vedere ridursi il capitale accumulato in anni di lavoro.

Quanto costa davvero l’opzione “gratuita”?

Come abbiamo visto, l’opzione di lasciare il TFR in azienda, apparentemente gratuita e semplice, nasconde in realtà costi rilevanti che si manifestano e si amplificano nel lungo termine. 

I punti chiave da ricordare sono i seguenti:

  • contributo datoriale: rinunciare al contributo aggiuntivo del datore di lavoro significa perdere risorse extra cruciali per l’accumulo e l’investimento;
  • rendimenti: la rivalutazione conservativa del TFR aziendale può risultare ampiamente inferiore rispetto ai rendimenti potenziali offerti dalla previdenza complementare;
  • tassazione: la tassazione finale, molto più elevata (minimo 23% contro il 9%-15% del fondo pensione), riduce in modo importante il capitale netto disponibile.

In definitiva, l’opzione “gratuita” non è mai tale quando si parla di denaro, poiché il costo nascosto dietro il TFR lasciato in azienda si traduce in un capitale netto inferiore e in un minor benessere finanziario al momento della pensione. Informarsi attentamente sulle opportunità offerte dai fondi pensione è quindi fondamentale per ottimizzare le risorse destinate al proprio progetto previdenziale.

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